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La storia

GLI ANNI DEL PRIMO DOPOGUERRA (1945-49)

GLI ANNI DEL PRIMO DOPOGUERRA (1945-49)
…quasi cursores vitae lampada tadunt (Lucrezio.,II,79 )

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Scoppiò il dopoguerra …
...Dagli atri muscosi, dai fori cadenti, dai boschi, dall’arse fucine stridenti …(A. Manzoni, “Adelchi”, I coro)

“Dopo la guerra scoppiò il dopoguerra” avverte Ettore Scola nel suo capolavoro della cinematografica italiana del 1974 “C’eravamo tanto amati”: immense sono le difficoltà che il Paese affronta nella ricostruzione, nel riordinamento pubblico, nella pacificazione sociale. Tra mille incertezze e divisioni si vive un clima di speranze, dubbi e cambiamenti. Il 18 giugno ’46, all’esito del Referendum istituzionale del 2 giugno, viene proclamata la Repubblica tra infiniti stralci polemici. Una settimana dopo si insedia l’Assemblea Costituente il cui primo atto, il 28 giugno, è la nomina quale Capo dello Stato del napoletano Enrico De Nicola. Già Presidente della Camera, Presidente dell’Ordine degli Avvocati (ufficio che considerava al di sopra di ogni carica), De Nicola era adorato dai concittadini e osannato dai colleghi, che usavano anche baciargli la mano; uomo insigne, dallo specchiato rigore morale, dall’etica lavorativa luminosa, indicò la giusta dirittura ad un periodo tormentato. Con lui Napoli (unica a fornire all’Italia tre Presidenti della Repubblica) riafferma subito il suo ruolo primario nelle vicende nazionali.
Nel contempo, si assiste in città al rilancio della cultura. Benedetto Croce fonda nel ’46 l’Istituto Italiano per gli Studi Storici; mentre Eduardo De Filippo e Raffaele Viviani raggiungono la maturità artistica, nasce una nuova fioritura letteraria locale con i vari Giuseppe Marotta, Domenico Rea, Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone, Raffaele La Capria, Mario Pomilio. Napoli è un laboratorio di pensiero: nel ’49 viene aperto il Circolo della Stampa, all’ombra del Vesuvio si fermano Alberto Moravia e Vasco Pratolini, Ernest Hemingway, Pablo Neruda, Paul Eluard, Max Ernst, David Siqueros.

...veggendo il mondo aver cangiato faccia (Inf., XXIV, 13)

La Penisola è tuttavia percorsa da tensioni sociali, agitazioni, contrasti politici che acuiscono la precaria situazione di alcune città come la nostra, dove perdurano le conseguenze della guerra. La parola d’ordine, naturalmente, è ricostruzione. Il 28 gennaio ’47 De Gasperi presenta al San Carlo il Piano Regolatore di Napoli, l’anno dopo il Governo stanzia 2 miliardi da impiegare in lavori pubblici nella nostra città, che nel ’49 denunzia 200.000 disoccupati. L’edilizia cittadina privata assume un ruolo fondamentale nella dinamica delle politiche sociali, recependo l’istanza di trovare un’adeguata sistemazione a sfollati e senzatetto; da necessità funzionale si trasforma presto in macchina trainante dello sviluppo per risolversi spesso, nell’urgenza del momento, in fenomeno incontrollato che determina un ingorgo urbanistico sconsiderato e ingestibile. Dagli anni ’50 l’imago urbis subirà una profonda alterazione: annichilita dalle bombe, Napoli risulterà definitivamente sfregiata dal cemento della speculazione.

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Pur tra innumerevoli problemi, la volontà di reazione dei napoletani, abituati ad amare la vita in tutte le sue manifestazioni, spinge a riabbracciare gli eventi sportivi. Nel ’45 si risistema sul lungomare la tribunetta in legno per la pallanuoto, nel ’47 torna il Giro d’Italia: Fusto Coppi domina sul circuito del Vomero; l’anno dopo è il turno del Gran Premio Automobilistico Città di Napoli: si impone Luigi Villoresi su Osca. Distrutto dai bombardamenti lo Stadio Partenopeo “Giorgio Ascarelli”, dal ’46 il Napoli calcio emigra all’impianto vomerese “Arturo Collana”.
Offusca tutto una delle più gravi tragedie sportive del secolo: il 4 maggio ’49, alle 17.03, si schianta sulla collina di Superga l’aereo che trasporta la squadra del Grande Torino, vincitrice di cinque scudetti consecutivi. Muoiono tutti: giocatori, dirigenti, accompagnatori, equipaggio, giornalisti; la commozione è enorme, travolge l’intero Paese, che, col suo sentito ricordo, fissa i loro volti nel firmamento della storia.

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La ricostruzione della Canotteri
...labor omnia vicit (Virgilio, Georgiche, I, 175)

Anche alla Canottieri, dopo l’ineluttabile diaspora dei soci, le requisizioni della sede, i danni di guerra, la dispersione di parte delle attrezzature, bisogna ripartire daccapo. Eppure, in breve tempo, la sede viene ampliata e abbellita, le attività riprendono, se possibile, con maggior vigore. La nettezza morale combatté il disordine e l’indeterminatezza della stagione, l’idem velle determinò, ancora una volta, il decisivo concorso di tutti al bene comune, la passione corale di partecipare attivamente al risorgere dell’alma mater. Fu l’esaltazione dell’operosità, trasfusa nel piacere di far nascere (o rinascere) le cose dalle proprie mani.
Già nel ’47, si effettuano interventi al porticciolo del Molosiglio. Sotto la Presidenza dell’inesauribile Piero Cutolo, che quell’anno viene acclamato “Socio Benemerito”, la sede viene riparata, restaurata e quindi ingrandita: si costruisce una rimessa per le imbarcazioni a vela e, su di essa, un’altra terrazza sul lato dei giardini; al piano terra si ricavano una sala da ginnastica e lo spogliatoio femminile; seguirà il secondo campo da tennis. All’Ing. Percuoco, sul quale presto ci soffermeremo, va infine ascritta la costruzione di un ulteriore salone al primo piano, simmetrico a quello principale aggettante sul mare, dove si terranno le assemblee dei soci e verranno sistemati, nella vetrina posta quale parete di fondo, i trofei che non entrano più nella bacheca principale.


Un periodo di semina
...Admiranda tibi levium spactacula rerum magnanimosque duces totiusque ordine gentis mores et studia et populos et proelia dicam (Virgilio, Georgiche, IV, 3-5)

Grazie all’etica dell’impegno quotidiano, ripartono al Circolo anche le attività agonistiche. Forse la guerra portò via una certa patina romantica, ma le sofferenze patite arricchirono il codice genetico dei giallorossi di un positivo rapporto con le cose, di una precisa consapevolezza della realtà, dell’attimo in cui si vive, percepito come immediatamente decisivo.
Rimessi in ordine gli armi, il canottaggio sembra non avvertire soluzione di continuità col fulgido passato; la saga dei successi contempla ancora un formidabile ‘otto’, forte di nuovi, gagliardi interpreti 1: con la yole si vince nel ’47 il Campionato Italiano del Mare e la Coppa Lysistrata, con l’outrigger la Coppa del Tirreno per tre anni di seguito, dal ’46 al ’48. Sempre nel ‘48 la Canottieri. si aggiudica a Barcellona il Trofeo italo-spagnolo per club: trionfa il ‘quattro con’ (Cascianelli, Orlando, Romano, Loffredi, tim. Di Filippo), Nello Ermellini arriva 2° in singolo; l’anno dopo ripeterà il piazzamento agli Italiani di Pallanza.

1 L’equipaggio tricolore è formato, in ordine di voga, da Corrado Cascianelli, Lucio Orlando, Carlo Cascianelli, Renato Romano, Salvatore Scognamiglio, Renato Traiola, Giambattista De Vito, Mario Mastropaolo; timoniere Vincenzo Di Filippo. Riceveranno tutti il titolo di “Socio Benemerito”.
Coppa del Tirreno, ’46: Cascianelli I, De Falco, Cascianelli II, Traiola, Ermellini, Iaccarino, De Gennaro, Mastropaolo, tim. Di Filippo; ’47: Cascianelli I, Traiola, Cascianelli II , Orlando, Ermellini, De Vito, Mastropaolo, tim. Di Filippo; ’48: Cascianelli I, Orlando, Romano, Ummarino, Ermellini, De Vito, Cascianelli II, Offredi, tim. Di Filippo


Enzo Di Filippo, per tutti “Zifil”, continua la tradizione dei timonieri giallorossi, strateghi capaci di interpretare al meglio le situazioni e spronare in modo consono i rematori: un po’ tecnico, un po’ psicologo, elargiva con dovizia entrambe le doti. Ingegnere, sarà Commissario straordinario del Circolo a metà anni ’90.

… que’ due che insieme vanno e paion sì al vento esser leggieri (Inf., V, 74-5)

E’ di cantieristica napoletana in ogni centimetro la classe Star “Libellula”, con la quale gareggiano Ciappa e Rolandi. Se il canottaggio aveva trovato in Cesi-Iaccarino i suoi dioscuri, la vela si adegua subito proponendo i gemelli del vento.
Roberto Ciappa, formatosi sui Dinghy 12 p. S.I. e nella dissolta classe Beccaccini, era “Un velista da formula 1”: così lo definì il giornalista Sergio Capece nel ricordo che ne traccia sul libro sociale del ‘78 (era appena scomparso, a 56 anni). Ingegnere, partigiano della matematica, ci appare come l’Euclide della vela: “Calcolatore attento, non lasciava nulla all’improvvisazione. Per lui la regata era un fatto geometrico” si spiega nel’articolo citato. Timoniere acuto ed ingegnoso nelle impostazioni di gara come nei motti di spirito o nei progetti per imbarcazioni, lo ritroveremo secondo agli Europei del ’57 e due volte tricolore alla fine degli anni cinquanta, nel pieno dell’attività professionale, con i suoi immancabili occhiali dalla montatura scura che gli conferivano una simpatica aria da scienziato, sorridente e vagamente malinconico come tutti i geni.
Carlo Rolandi avrà un’inesauribile vita sportiva e dirigenziale: “Un professionista della vela” nel senso più pieno e completo, secondo il titolo di un pregevoli articolo apparso nel 2009 sul quotidiano “Roma” 3. Lo rincontreremo presto.
I nostri due iniziano vincendo il Campionato Campano classe Star nel ‘45, poi si aggiudicano nel ’46 la Coppa D’Andrea e l’anno successivo, a Napoli, arrivano secondi al Campionato Europeo; sempre nella Star, nel ’48 partecipano ai Mondiali di Cascais in Portogallo e ricevono la convocazione ai Giochi Olimpici, in qualità di riserve, Ciappa dell’Ammiraglio Agostino “Tino” Straulino, forse il più grande velista italiano di sempre.

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...Once more upon the waters ! Yet once more ! (G. Byron, “Childe Herold’s pilgrimage”, III, 10)

Siamo così giunti al 1948, data fatidica per lo sport che torna a riunire le genti: a Londra si disputa infatti l’Olimpiade numero XIV.
Per l’Italia quei Giochi rimandano principalmente all’oro della squadra di pallanuoto, il celeberrimo “Settebello”, soprannome originariamente assegnato alla Rari Nantes Napoli dal suo Capitano Mimì Grimaldi e poi prestato alla Nazionale 4.
Nel prezioso libro “Storie esemplari di piccoli eroi” 5 Cesare Fiumi spiega che esistono solstizi agonistici che mutano la geografia di uno sport, i suoi confini. Nella pallanuoto, aggregata alla FIN nel 1901, era accaduto nel ’39 quando la Rari Nantes aveva portato a Napoli il primo Scudetto di una disciplina di squadra. Ne seguirono altri quattro, nel ‘41, ‘42, ’49 e nel ‘50; alle stregua di Bartali, solo la guerra impedì ai biancocelesti una più consistente rinomanza. Si giocava allora solo d’estate, e la gente accorreva a vedere “il calcio a mare”, o, secondo alcune interpretazioni, “la guerra a mare”, sistemandosi su tavolati in legno appoggiati, nel primo dopoguerra, sulla scogliera a salire verso la strada, l’attuale Via Nazario Sauro; a pochi metri si scorgeva la barocca Fontana del Gigante, sotto la quale prosperava una consorteria di pallanuotisti fin troppo convinti: quando primeggerà in altra branca, il giornalista Aronne Anghileri avrà a commentare: ”Contro ogni tradizione, la R.N. Napoli si laurea campione di società nel nuoto. Sconcerto tra i soci”.
Con i loro successi, i “luciani” erano dunque entrati nell’immaginario collettivo napoletano, nell’epica sportiva cittadina. In porta c’era Pasquale Buonocore, definito da Niccolò Carosio “Lo Zamora della piscina”, che pure aveva iniziato l’attività nella Canottieri; insuperabile a Londra, dove il 2 agosto, all’Empire Pool di Wembley, parò un rigore nell’incontro, decisivo, contro la fortissima Ungheria che finì argento: l’Italia vinse 4-3. La coppia di terzini faceva concorrenza, per rinomanza, a quelle del calcio italiano, in quei tempi due volte Campione del Mondo: al pari di Rosetta e Caligaris, Monzeglio e Allemandi, Foni e Rava, a mare Emilio Bulgarelli e Mimì Grimaldi erano una certezza, inscindibilmente legati da quella congiunzione semplice che suggeriva il ritmo di una rassicurante litania. Venivano poi il possente Enzo Polito, Giovanni De Silva, perfetto in acqua e fuori, il centroboa Vittorio Sosti (“O’ lione e’ Mergellina”) ed il mago ungherese Andres “Bandy” Zolyomy 6 che, da allenatore-giocatore, modellò il gruppo cui da ultimo si aggiunse addirittura Cesare Rubini, “Il principe”, l’unico atleta al mondo ad essere inserito nella Hall of Fame di basket e pallanuoto. Il fuoriclasse era però Gildo Arena, al quale si attribuisce l’invenzione di tutte le destrezze entrate nel repertorio tecnico degli attaccanti più virtuosi: beduina, colonnella, spasone, schizzo, pendolo e funambolismi simili. Trascinò lui l’Italia sul gradino più alto del podio sia all’Europeo del ’47 a Montecarlo sia a Londra, dove acquistò immensa fama grazie anche alla televisione che in Inghilterra trasmise gli eventi; ancora nel nuovo secolo l’anziano Presidente dei Probiviri Rarinantini, il Medico Nazario De Simone, declamava sulla loro terrazza le parole dell’inimitabile Bruno Roghi, che in uno dei suoi impeti di eloquenza aveva scritto per l’occasione sul quotidiano sportivo Il Corriere dello Sport: “Il gioco poliedrico di Gildo Arena ha tutte le sfaccettature del diamante”.
In principio la pallanuoto a Napoli erano loro. Molti di questi nomi li incontreremo presto al Molosiglio, dove era diventato Consigliere al Nuoto per poi assurgere alla Vice-Presidenza Sportiva l’Ingegnere Vincenzo Percuoco; scapolo, specializzato in impianti di riscaldamento, allevava canarini ed aveva raggiunto la Canottieri nel ’36 dopo essersi destreggiato, nella Rari, da pallanuotista e tuffatore. Stella d’oro al merito sportivo, sarà Presidente della FIN dal ’56 al ’62, componente della Giunta del CONI, Vice Presidente della FINA. Assieme a Pietro De Gregori (futuro Presidente della Federcanottaggio) apre così l’aurea tradizione dei grandi dirigenti sportivi giallorossi assurti ai vertici delle Federazioni Nazionali (ed ultranazionali); li seguiranno Carlo Rolandi, di cui si è detto, Carlo De Gaudio (FIN, FIGC), Paolo Cappabianca (FIC) e di recente Alessandro Fattore (Fitri).
Con sagace programmazione Percuoco guida l’esplosione del settore, avvalendosi dell’inestimabile contributo di Marcello Nappa, Stella di bronzo al merito sportivo, talmente infaticabile che si diceva avesse il dono dell’ubiquità: comprendendo l’abbrivio dell’epopea londinese, i due danno l’avviano alla scalata. Nel ’48, al concentramento di Catania, il C.C.N. si impone nel Campionato di serie B 2: il primo passo è compiuto. L’anno dopo gli spalti, sempre in legno, si montano al Molosiglio, nello specchio d’acqua tra Canottieri e Lega Navale 7: è quasi uno stadio, con gli spettatori sui due lati lunghi e gli spogliatoi dalla parte dei giardinetti. Ci sono molte aspettative. Usando le parole di Eraldo Pizzo, “Si metteva il campo a mare e pareva di seminare qualcosa”.

2 La formazione della promozione è: Renato Traiola, Nino Greco, Franco Monaco (Capitano), Maurizio Mannelli, Antonio Volpe, Maurizio Morelli, Giulio De Filippis; riserve Mimmo Ferrazzani, Fofò Buonocore, Renato Martire, Renato Ruggero.

...ma se presso al mattin del ver si sogna … (Inf., XXVI, 7)

Intanto nel nuoto Nica Rigoni, che prima della guerra aveva più volte vinto gli Italiani col Circolo Giovinezza, conquista il bronzo nei 200 rana agli Assoluti del ’47 per il C.C.N. Ma l’attenzione è puntata su un gruppo di ragazzini terribili: Una leva di nuoto aveva spinto al Molosiglio Maurizio Mannelli (classe 1930), carattere ribelle e talento eclettico, peculiare; l’ex nuotatore Renato Martire segue Costantino Dennerlein (classe 1932), detto “Bubi”, nato a Portici da padre tedesco e madre rumena: ha una tempra di acciaio ed uno sguardo lungimirante; Alfonso Buonocore (classe 1933) è allenato da Alfredo Mezzadri che d’inverno, in mancanza d’altro, lo porta nelle vasche di raffreddamento degli Stabilimenti Italsider di Bagnoli; “Fofò” si fa notare per il sorriso accattivante, una gran voglia di vivere ed una velocità nel crawl senza pari. Nel ’47 ai Nazionali juniores Mannelli vince i 200 stile, Buonocore i 400, l’anno dopo, agli Assoluti, il primo tocca secondo in 100 e 200 stile, ed entrambi fanno parte della squadra di pallanuoto promossa in A. Agli Italiani juniores del’49 Fofò si appropria di 100 e 200 stile, Bubi dei 400. A proposito, quest’ultimo ha un fratello più piccolo di nome Federico: lo chiamano “Fritz”, e pare che in acqua sappia far tutto, ma davvero tutto.
Fermiamoci qui: sono alle porte gli anni ’50 e si percepisce l’avverarsi di qualcosa di importante. La storia, si sa, ha percorsi imperscrutabili, tornanti e allunghi che a volte coincidono sorprendentemente con i passaggi del calendario: va a finire un decennio terribile, sta per iniziare la leggenda del nuoto giallorosso.


NOTE
3 Articolo apparso sul quotidiano “Roma” del 07.07.2009 a firma del nostro Avvocato e giornalista, Cav. Mimmo Sica.
4 Nel presentare le contendenti al massimo Torneo del ‘38, la Gazzetta dello Sport intitola il pezzo sui napoletani “Il settebello della Rari Nantes Napoli”(cfr. Gazzetta dello Sport del 25/26 giugno 1938).
5 “Storie esemplari di piccoli eroi” di Cesare Fiumi, Feltrinelli Ed., Milano, 1996.
6 Bandy Zolyomy era arrivato alla Rari Nantes nel 1935 a soli 21 anni, su consiglio del connazionale Laszlo Vajda, tuffatore e poi C.T. dei tuffi dell’Italia, che aveva trascorso diversi anni a Napoli. In Ungheria praticava sci, hockey su prato e, soprattutto, pallanuoto: in forza al M.T.K. Budapest, era stato convocato in Nazionale B dal leggendario allenatore Bela Komjadi, che guidò il suo Paese all’oro olimpico nel ‘32 a Los Angeles e tre titoli Europei; “Zio Bela”, come lo chiamavano i suoi ragazzi (“Bela Bacsi”), morì a soli 41 anni mentre giocava a pallanuoto.
7 Impulso decisivo per la costruzione dello “stadio” al Molosiglio venne dal Presidente del Comitato Regionale FIN, Eugenio “Gegé” De Luca, ex Rari Nantes, proprietario della Solfatara di Pozzuoli. La struttura riprendeva su vasta scala quella esistente negli anni ’30, ma aveva diversa disposizione, perché, prima della guerra, i lati corti guardavano Canottieri e Lega Navale ed il lato lungo a terra coincideva con la banchina dei Giardinetti.



A cura di Gian Nicola De Simone

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